Per comprendere l’importanza della chimica in agricoltura, basti pensare che se l’agricoltura dovesse fare a meno della chimica al mondo mancherebbe il cibo per sfamare due terzi della popolazione e alcuni alimenti, dalle mele al vino, sarebbero quasi introvabili. Il rapporto tra chimica e agricoltura è di amore e odio: la chimica ha reso possibile l’aumento della produttività dei campi e la difesa delle colture, ma é stata anche la causa dell’immissione in ambiente di inquinanti che hanno creato nei consumatori un senso di sfiducia. Ma quando i prodotti dei laboratori hanno fatto il loro ingresso nelle fattorie?

Chimica in agricoltura: la produzione dei fertilizzanti chimici

Nel 1910 due scienziati tedeschi, Fritz Haber e Carl Bosch, misero a punto in fasi successive quello che é passato alla storia come il processo Haber-Bosch per la sintesi industriale dell’ammoniaca. Utilizzato inizialmente per scopi bellici, questo metodo ha aperto la strada alla produzione dei fertilizzanti chimici. Il nutriente più importante per le piante é infatti l’azoto, ma i vegetali, a parte qualche raro caso, non sono in grado di fissare autonomamente l’azoto gassoso in atmosfera, ma hanno bisogno di assorbirlo attraverso composti azotati come l’urea (sintetizzata appunto a partire dall’ammoniaca).

Oltre all’azoto, gli altri elementi fondamentali per le produzioni agricole sono il fosforo e il potassio, dalle cui iniziali ha origine la famosa sigla NPK, che é il fertilizzante alla base della maggior parte delle produzioni agricole. Se quelli prodotti in laboratorio sono detti concimi chimici (o minerali) esistono anche i concimi organici, in cui i tre elementi sopra citati sono legati al carbonio e sono di derivazione animale o vegetale.

Durante la sessione plenaria di ottobre, il Parlamento europeo ha dato il suo parere positivo al nuovo regolamento sui fertilizzanti che spinge proprio per un utilizzo più ampio di rifiuti (come i fanghi di depurazione) o sottoprodotti (come gli scarti dell’industria alimentare) per la sintesi di fertilizzanti. L’obiettivo é quello di ridurre il ricorso ai concimi di sintesi, con tutte le esternalità negative collegate, privilegiando l’economia circolare e quindi un riutilizzo dei materiali di scarto.

I fitofarmaci contro gli insetti infestanti

Nutrire le piante dunque, ma anche proteggerle. Già, perché la chimica non solo ha reso possibile aumentare le produzioni, ma ha anche difeso le colture dall’attacco di insetti e di malattie. Il rame era conosciuto fin dall’antichità per il suo potere anticrittogamico e la poltiglia bordolese, composto a base di rame e calcio diluiti in acqua, era già usato dai romani. Oggi i fungicidi rameici sono ancora molto utilizzati e sono gli unici permessi in agricoltura biologica, anche se molti si chiedono perché questo prodotto chimico, pur dalla storia antica, debba avere questa esenzione.

Quantificare il ruolo degli agrofarmaci (che qualcuno si ostina a chiamare genericamente ‘veleni’) nell’aumento della produttività delle colture non é facile, visto che molto dipende dal tipo di pianta, dall’areale di coltivazione, dal clima, eccetera. Si può però dire che le perdite di raccolto in assenza di agrofarmaci varierebbero dal 20 al 60 per cento. Su colture come l’ulivo, ad esempio, il ruolo della chimica di protezione non é fondamentale, mentre su colture come il melo o la vite é di primaria importanza.

Il famoso Prosecco non potrebbe esistere senza antiperonosporici e antioidici. Questi due funghi ridurrebbero quasi a zero la produzione di grappoli di Glera, il vitigno da cui viene ottenuto il Prosecco. E in Trentino la produzione di mele é resa possibile solo grazie agli anticrittogamici per combattere malattie come la ticchiolatura e agli anti-afidi per contrastare quello bruno e lanigero.

Contro gli insetti la scoperta più importante é stata certamente quella del DDT (il Dicloro-Difenil-Tricloroetano). A sintetizzarlo fu il chimico austriaco Othmar Zeidler, nel 1873, e divenne famoso in Italia perché fu alla base del debellamento della malaria. Fu tuttavia l’agricoltura a farne il più largo uso per contrastare gli insetti che colpivano le colture. Quando si scoprì che il composto è probabilmente cancerogeno e crea danni enormi alla fauna selvatica (specialmente alle uova degli uccelli, il cui guscio non si solidifica) fu progressivamente abbandonato, anche se in molte parti del Globo é ancora usato per il contrasto della zanzara anemofila.

Erbicidi contro le piante infestanti

Accanto ai fertilizzanti e ai prodotti per la difesa, gli erbicidi sono l’altra colonna sui cui si basa l’agricoltura moderna. Le infestanti, se non controllate, possono portare ad una diminuzione fino ad un terzo del raccolto perché sottraggono luce e nutrienti alle colture commerciali. I primi diserbanti di sintesi risalgono agli anni Quaranta. Il 2,4-D, un acido carbossilico, é stato il primo ad essere impiegato su larga scala e divenne tristemente famoso perché alla base della preparazione dell’agente arancio, utilizzato come defogliante dall’esercito Usa durante la guerra in Vietnam. Questo erbicida é tuttavia ancora in commercio, anche se in formulati nuovi. Altri erbicidi più recenti, come il famigerato Glifosate, sono al centro del dibattito pubblico per la loro possibile tossicità.

Anche nel caso dei prodotti per la difesa è l’Unione europea che autorizza o vieta la commercializzazione di nuove sostanze. A questo proposito la Direttiva 128/09 sull’uso sostenibile dei pesticidi ha avuto un impatto enorme. Bruxelles ha riconosciuto il ruolo fondamentale dei prodotti chimici per avere una agricoltura in grado di sfamare l’umanità, ma ha anche chiesto che, dove possibile, alla chimica siano affiancati altri metodi di lotta, come quella integrata. Spazio dunque all’uso di biopesticidi, alla confusione sessuale e all’impiego di insetti sterili. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.