Recentemente l’Unione Europea si è avviata verso un percorso di conoscenza/comprensione del fenomeno legato alla dispersione nell’ambiente di materiali plastici attraverso la pubblicazione, prevista per la fine del 2014, di un libro verde titolato: Una strategia europea per i rifiuti di plastica nell’ambiente. Le conclusioni di questo libro dovrebbero indirizzare l’UE verso un riesame generale della normativa sui rifiuti. Attualmente, infatti, i materiali polimerici, in quanto tali, non hanno alcuna normativa specifica né in termini di recupero/riciclaggio, né in termini di strategie produttive (biodegradabilità, ecodesign, etc).
I materiali polimerici si prestano facilmente ad essere impiegati in numerosi settori produttivi rendendo possibile, inoltre, la salvaguardia di molteplici risorse naturali grazie alla loro sostituzione con materiali sintetici che spesso hanno anche generato prodotti migliori a costi inferiori.
Stiamo parlando di una produzione mondiale annuale di circa 250 milioni di tonnellate. Nella UE (27) sono oltre 25 milioni di tonnellate i rifiuti di plastica generati ogni anno e di questi vengono conferiti in discarica poco meno della metà, rinunciando definitivamente alla possibilità di riciclaggio. Eppure il polietilentereftalato (PET), il polietilene (PE) o il polipropilene (PP) recuperati da rifiuti solidi urbani (RSU) vengono acquistati, nelle aste, a prezzi compresi fra 300-500€/tonn. La plastica “secondaria” non è diversa da quella vergine e potrebbe essere completamente riciclata sia direttamente che per scopi energetici (valori elevati del potere calorifico). In particolare, ad esempio, con 15 bottiglie di PET si può fare una maglietta di pile e con 2 vaschette di plastica si può tenere accesa una lampadina per oltre un’ora.

Il Libro Verde rappresenta, quindi, una ghiotta occasione per rivedere l’intera “filiera” della plastica tenendo in considerazione tutti gli aspetti tecnici, economici e sociali connessi con questo settore. Ad esempio il ricorso ai biopolimeri, se da una parte ne facilita la biodegradazione, dall’altra, l’incremento della produzione potrebbe portare ad una crescente sottrazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, di terreni destinati alle colture alimentari. Infatti, visti i maggiori ricavi derivanti dalla vendita di mais e canna da zucchero che sono alla base dei biopolimeri, i coltivatori potrebbero essere indotti a sostituire il tipo di coltivazione.
In ogni caso qualsiasi tentativo di ridurre la dispersione nell’ambiente, soprattutto quello marino, di oggetti che possono durare decine di anni, non può che giovare all’ambiente ed alle future generazioni.