È a firma dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile) il brevetto che permette di sfruttare i residui della lavorazione delle olive per estrarre i polifenoli, potenti antiossidanti naturali, senza impattare sull’ambiente.
I residui di scarto della spremitura delle olive, che sono fitotossici, in Italia ammontano a circa 9 milioni di tonnellate all’anno, equivalenti a un carico inquinante prodotto da circa 25 milioni di abitanti. In provincia di Rieti è stato attivato un impianto innovativo, unico nel suo genere, che utilizza le acque di spremitura delle olive ricavandone sostanze destinate all’industria alimentare, cosmetica e nutraceutica.

In che modo? Grazie a un sistema idraulico le acque di spremitura delle olive passano dal frantoio all’interno dell’impianto (installato vicino al frantoio) dove i residui diluiti subiscono quattro processi di filtrazione che permettono di recuperare ed estrarre i polifenoli con alto grado di purezza, eliminando il carico inquinante dei residui oleari.

Il tutto in modo naturale perché, con questa tecnologia brevettata dall’Enea, non si utilizzano solventi ma solo la risorsa idrica come solvente di estrazione (a patto che i residui oleari siano privi di pesticidi, e per questo motivo è stato attivato un sistema di controllo sul territorio reatino).

Ma non finisce qui: l’impianto in questione è molto versatile, infatti, quando termina il periodo di raccolta delle olive, tratta l’estratto acquoso ricavato dalle foglie della pianta dell’ulivo che contengono altri polifenoli di interesse commerciale. In questo modo l’impianto industriale può continuare a operare fino a primavera o comunque fino al tempo di potatura degli ulivi.

Il business e la riduzione dell’impatto ambientale collegati a questa tecnologia sono rilevanti, se consideriamo che nel Belpaese un singolo frantoio produce in media tra i 10 e i 20 metri cubo al giorno di acque olearie.

Anna Simone